SPINE E SUCCULENZA: IL GENIO EVOLUTIVO DELLE PIANTE GRASSE

28 Giugno 2025

Osservando da vicino una succulenta o un cactus, si è subito colpiti da forme insolite, geometrie perfette, superfici cerose e, naturalmente, da quelle caratteristiche spine che le rendono inconfondibili

Ma dietro la bellezza scultorea di queste piante si nasconde molto di più: un sofisticato sistema di adattamento evolutivo nato per una ragione fondamentale… sopravvivere alla scarsità d’acqua.

Spesso considerate “semplici” da coltivare perché resistenti alla siccità, le piante succulente sono in realtà il risultato di milioni di anni di evoluzione mirata, durante i quali hanno sviluppato tessuti speciali per trattenere acqua e trasformato completamente le loro strutture per ottimizzare la gestione delle risorse.

In questo articolo andiamo a scoprire nel dettaglio che cosa sono realmente le spine, perché le succulente si chiamano così, e cosa rende queste piante delle vere campionesse della sopravvivenza vegetale.

Perché si chiamano “succulente”?

Il termine “succulente” deriva dal latino succus, che significa “succo” o “linfa”. Un nome perfettamente calzante, visto che queste piante hanno la straordinaria capacità di immagazzinare acqua nei loro tessuti per sopravvivere a lunghi periodi di siccità.

Ma dove viene immagazzinata quest’acqua?

Le succulente non sono tutte uguali, e la succulenza può interessare:

  • le foglie: come nelle Echeveria, Sedum, Crassula;
  • il fusto: come nei cactus colonnari (Cereus, Trichocereus) o globulari (Astrophytum, Mammillaria);
  • le radici: in alcune specie come le Pachypodium o le Fockea, dove le radici carnose fungono da vere e proprie riserve idriche sotterranee.

Il tessuto coinvolto è detto parenchima acquifero, una sorta di “serbatoio biologico” ricco di cellule che trattengono liquidi. Questa riserva consente alle piante di sopravvivere anche per mesi senza piogge, gestendo l’acqua con estrema parsimonia.

Le spine: foglie che hanno cambiato vita

Uno degli aspetti più affascinanti dei cactus è senza dubbio la presenza di spine, spesso appuntite, fittissime e molto ornamentali. Ma sapevi che… non sono altro che foglie modificate?

Nel corso dell’evoluzione, le piante che abitavano ambienti desertici hanno dovuto trovare una soluzione a un problema cruciale: ridurre la perdita d’acqua attraverso la traspirazione. Le foglie, pur essendo fondamentali per la fotosintesi, sono anche responsabili della maggiore dispersione idrica in una pianta.

La soluzione evolutiva? Semplicemente eliminarle.

Nei cactus, le foglie sono scomparse quasi completamente e si sono trasformate in spine, strutture rigide e sottili che:

  • non traspirano come le foglie comuni;
  • proteggono il fusto da animali erbivori;
  • fanno ombra alla pianta, contribuendo a ridurre la temperatura superficiale;
  • in alcune specie (es. Opuntia, Cephalocereus) catturano persino le gocce di rugiada.

Le spine nascono da particolari strutture chiamate areole, una sorta di “bottone botanico” da cui possono germogliare spine, fiori o nuovi rami. Le areole sono uniche nei cactus e rappresentano una delle caratteristiche distintive della famiglia Cactaceae.

Curiosità evolutiva: il fusto che respira

Poiché le foglie sono sparite, chi si occupa della fotosintesi? Il fusto!

Nei cactus, il fusto ha assunto un ruolo centrale non solo come riserva idrica ma anche come organo fotosintetico. È ricoperto da una sottile cuticola cerosa che impedisce l’evaporazione dell’acqua, e spesso presenta costolature che permettono alla pianta di espandersi o restringersi a seconda della quantità d’acqua immagazzinata.

Alcune specie, come quelle appartenenti al genere Myrtillocactus o Stenocereus, mostrano vere e proprie “costole respiranti”, che si dilatano dopo le piogge e si contraggono durante la siccità, come un polmone verde.

Come annaffiare correttamente le succulente

Uno degli aspetti più delicati nella cura delle piante succulente è senza dubbio l’irrigazione. A differenza delle piante tradizionali da appartamento, queste piante sono abituate a climi aridi, dove l’acqua arriva di rado ma in quantità abbondante. Per questo motivo, il metodo più efficace per innaffiarle è conosciuto come “soak and dry”: si tratta di bagnare generosamente il terreno finché l’acqua non esce dai fori di drenaggio del vaso, e poi lasciare asciugare completamente il substrato prima di procedere con una nuova irrigazione. Questo approccio imita le piogge improvvise e abbondanti tipiche degli ambienti desertici, a cui le succulente si sono perfettamente adattate.

La prossima volta che guarderai un piccolo cactus sul tuo davanzale, ricorda: non è solo una pianta resistente, è un capolavoro evolutivo.

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